Sarà che la partecipazione è un evento, quando invece dovrebbe essere la normalità. Sarà che siamo sempre meno abituati a non dico a costruire, ma almeno a immaginarci un futuro insieme. Sarà che ci sono decine di paesi del cratere sismico aquilano, molti dei quali praticamente rasi al suolo, dove dopo quasi quattro anni, la ricostruzione è ancora un’ipotesi. Sarà che viene detto che bisogna pazientare, che ci vorranno almeno 10-15 anni, il che equivale a dire che quando il paese sarà ricostruito molti terremotati saranno morti di vecchiaia o saranno andati a vivere altrove. Sarà che nei paesi in via di estinzione, terremotati e non, dura a morire è la propensione a scambiare un diritto per un favore del potente di turno, c’è un pessimismo diffuso, un ripiegamento in una sorta di ”autismo corale” che impedisce di condividere un sogno per farlo diventare realtà.
Sarà per tutte queste ragioni che ha rappresentato una boccata di ossigeno, e un fatto assai significativo, quello che è finora accaduto , a Fontecchio, a Santa Maria del Ponte, a Pescomaggiore, a Fano Adriano, a Civitella Casanova, più o meno terremotati, tutti e cinque vittime di spopolamento e di una devastante marginalità.
Qui grazie ad un progetto promosso da una rete di enti locali, di associazioni, di cooperative e di strutture professionali con il WWF di Teramo capofila, una solida maggioranza di cittadini per un anno, attraverso assemblee, questionari, seminari, laboratori, ha osservato, ragionato, discusso e scritto insieme, con l’apporto decisivo di un facilitatone esterno, uno Statuto dei Luoghi, ovvero le linee guida che mettono nero su bianco come si vuole ricostruire e rivitalizzare il paese, cosa in esso va conservato, perché bello e utile, cosa può e anzi deve essere cambiato, di cosa c’è bisogno e di cosa si può fare volentieri a meno.
E’ un primo passo che intanto conferma un dato che tutti gli studiosi dei processi di partecipazione conoscono bene: la creatività di un gruppo è superiore a quella della somma degli individui, e talvolta a quella di esosi e solitari consulenti e cattedratici.
Si conferma altresì che i progetti elaborati in modo condiviso hanno un indice molto più alto di fattibilità e successo e costano molto meno.
I risultati emersi nei cinque Statuti dei luoghi meritano dunque un approfondimento e una condivisione. Perché è un percorso che tanti altri paesi, terremotati o meno, dovrebbero intraprendere, con straordinari ed anche immediati vantaggi. Una cosa accomuna prima di tutto i cinque statuti dei luoghi: il valore che viene dato al paesaggio naturale ed agrario che circonda questi paesi, che sono un tutt’uno con questi i paesi, come un albero e il suo riflesso in uno stagno.
In netta controtendenza si prescrive di minimizzare il consumo di suolo, di limitare all’essenziale le aree edificabili, ed anzi di ritrasformare in agricole aree di espansione non utilizzate. di bonificare ed eliminare capannoni e strutture dismesse, si statuisce che ”lo sviluppo delle nuove costruzioni nei dintorni del centro storico dovrebbe essere il più possibile compatto ed integrato col paese, per evitare il consumo di terreno agricolo e consentire di raggiungere il centro anche senza usare l’automobile”
Nei cinque paesi è stata elaborata una mappa della memoria, una sorta di piano regolatore interiore, esito di un grande lavoro corale, di passeggiate nel ricordo e nell’affettività che ha rinominato i luoghi, e con il nome gli ha restituito un valore.
Si assiste insomma ad un arroccamento questa volta non regressivo in una identità fondata sul sentirsi altro rispetto alle sterminate periferie senza forma e senza sentimento, ai desolati paesaggi sempre più urbanizzate che visti dal cielo sembrano vittime di fenomeni cancerogeni.
Esiste del resto un nesso profondo tra il valore dato al paesaggio e la partecipazione: è stato ben scritto infatti che ”la perdita della capacità di riconoscere l’identità dei luoghi non è diversa dall’incapacità di riconoscere se stessi come individui sociali. La distruzione dei luoghi non è solo un incidente, un eccesso di voracità di qualcuno, esso recide le relazioni tra l’individuo, l’ambiente, gli altri da se”.
Un cambio di paradigma ha rappresentato poi il prendere consapevolezza che lo spazio privato è anche pubblico, e nessuna ricostruzione, nessuna rinascita può essere possibile, se non si mette al centro lo spazio condiviso, il bene comune e le relazioni di comunità.
La ricostruzione aquilana ed anche quella dell’Emilia avranno un senso solo si comprenderà che una città e un paese non sono solo somme di proprietà e volumi privati, ma una trama di spazi vuoti attraverso cui, come nelle vene di un organismo, devono poter scorrere relazioni ed emozioni, agire gli enzimi del convivio, deve pulsare il senso stesso dell’abitare.
A tal proposito per il 97% dei paesani di Pescomaggiore ”il decoro della propria abitazione è un preciso dovere che che ogni cittadino ha nei confronti della collettività”. E lo stesso vale negli altri paesi.
Altrove, in prossimità di antichi centri storici da ricostruire, sono spuntate abitazioni dipinte di colori che non si conciliano con l’insieme, o edificazioni non giustificate dall’emergenza, o interventi discutibili che hanno compromesso la bellezza e l’armonia d’insieme del borgo ancor prima che esso sia ricostruito secondo una logica e un’opportuna pianificazione.
Invece nei paesi dove è stato fatto lo statuto dei luoghi ora tutto ciò sarà più difficile, anche se spesso non esistono norme per impedirlo, perchè chi ne è responsabile poi dovrebbe andare a spiegarlo alla maggioranza qualificata dei paesani che a chiare lettere nello Statuto hanno scritto che ad esempio gli intonaci esterni delle case storiche, ma anche dei nuovi edifici, devono mantenere le tonalità naturali, ovvero quelle dei materiali che il territorio offre e che per secoli sono stati usati, naturalmente in armonia con il meraviglioso paesaggio circostante. Il materiale che va usato, lo prescrivono tutti gli Statuti, deve essere la pietra e la calce aerea, che ha anche l’indubbio pregio di essere traspirante e di resistere agli agenti atmosferici.
Dove la pietra è a vista deve ovviamente essere lasciata tale, ma senza cornici squadrate e pacchianerie varie, inoltre le linee di fuga tra una pietra e l’altra devono essere di calce chiara e non di cemento. In alcuni casi lo Statuto prescrive di non tirare a dritto le pareti, perché anche le irregolarità delle abitazioni rurali e le loro imperfezioni, rappresentano un valore estetico da tutelare, esprimono la loro diversità rispetto alla dozzinale edilizia della linea retta delle periferie metropolitane.
Negli statuti dei luoghi si legge anche una generalizzata ribellione contro gli infissi e le finestre in alluminio dorato o argentato, contro le ringhiere simil-barocco, o dal design postmoderno, non in sintonia con la semplice e sobria bellezza dell’artigianato espressione del genius loci. E ancora: l’imbottito delle finestre deve essere di pietra, o almeno deve simulare la pietra con uno spartano bordo bianco. I vecchi portoni, che portano il segno dei secoli sono piccoli monumenti alla civiltà contadina. Vanno pertanto lasciati dove sono restaurati se possibile in modo fedele all’aspetto originario. E i portoni nuovi devono replicarne lo stile, il più diffuso è detto ”alla mercantile”, ovvero con doghe di legno orizzontali, a due battenti, talvolta con oblò ed essenziali finestrelle con grate di legno.
In tutti i paesi coinvolti grande importanza e stata data al valore artistico e storico degli stemmi dalla ricchissima simbologia, alle decorazioni a bassorilievo sulle cornici di pietra e di porte e finestre. E dunque si è messo nero su bianco che l’uso di marmi policromi per le decorazioni rappresenta un intervento incongruo che rende più brutto il paese.
I tetti, quasi unanime il giudizio devono essere di legno, con le vecchie tegole di terracotta e senza i cordoli di cemento che gravano sulla struttura sottostante in pietra. Del resto i cordoli di cemento, lascito dell’ignoranza degli ingegneri e politici degli anni settanta, sono stati una delle cause principali di crolli e vittime nel terremoto del 2009. Nello statuto dei luoghi c’è poi si individuano e descrivono interventi relativi agli spazi pubblici sentiti come prioritari e necessari.
Si chiedono poi luoghi di aggregazione, ma sempre in edifici esistenti, da recuperare e valorizzare, nel paese. Come la ex-scuola a Pescomaggiore e a Santa Maria del ponte, uno stabile del Comune a Civitella Casanova, un ex-convento a Fontecchio, un ex-locale commerciale nel centro del paese a Fano Adriano. Scelte dettate dal buon senso di cittadini rurali consapevoli che le risorse sono poche e vanno usate con parsimonia. Scelte agli antipodi, in termini di costi, consumo di suolo e impatto paesaggistico rispetto ai tanti centri polivalenti e casermoni tirati su nel cratere sismico con centinaia di migliaia di euro dei soldi delle donazioni. E che rischiano l’abbandono e il disuso per gli alti costi di gestione, e perchè potrebbero risultare inutili superata la fase della pur lunga emergenza.
E questi spazi, i cittadini dicono di volerli gestire insieme, come circoli e in forma associativa e volontaria. A Pescomaggiore il 97% dei cittadini consultati si sono detti pronti ad offrire la propria forza lavoro gratuita per attivare una esperienza di auto-recupero della ex-scuola, al fine di ridurre i costi dell’intervento e anche per dare un bel segnale nel contesto di una ricostruzione post-sismica dove invece si assiste troppo spesso alla passività dei cittadini post-sismici.
E in questi spazi comuni i cittadini propongono di metterci poche cose ma utili: una cucina, una macchinetta per il caffè, una piccola biblioteca, una postazione internet, un presidio medico, come a Fano Adriano, Civitella Casanova, e Santa Maria del Ponte, o anche, come a Pescomaggiore, laboratori artigianali e di trasformazione condivisi e a disposizione di chi voglia riattivare la produzione di miele, farro, marmellate e altri prodotti locali.
Negli Statuti dei luoghi si chiedono poi cose essenziali e di buon senso, che rappresentano un diritto per cittadini di paese che come tutti pagano le tasse e non hanno poco in cambio, in quanto residenti in territori marginali delle aree interne: trasporti pubblici adeguati e più frequenti, la connessione a internet veloce, il rifacimento dell’impianto fognario, una minima manutenzione di strade accidentate e pericolose.
Grande interesse è stato espresso anche per l’energia pulita: in quasi tutti i borghi si è ragionato come e dove collocare pannelli solari e fotovoltaici o il mini eolico, minimizzando l’ impatto negativo sul paesaggio e sull’integrità estetica dei tetti del paese.
A Fontecchio si propone la realizzazione di piccoli impianti a biomassa che potrebbero senza problemi essere alimentati dal materiale risultante dalla pulizia dei grandi boschi che circondano il paese, anche in funzione anti-incendio.
A Santa Maria del Ponte si propone di risolvere la mancanza di trasporti grazie all’acquisto di un bus-navetta gestito dal Comune o dagli stessi abitanti a turno, che in determinate giornate trasporti le persone, in particolare gli anziani non automuniti, a fare la spesa, in farmacia e all’ambulatorio. La mancanza di negozi di generi alimentari e di prima necessità (è il caso di Pescomaggiore e Santa maria del Ponte) potrebbe essere risolta aumentando e razionalizzando la presenza di venditori ambulanti.
A Fano Adriano la popolazione chiede di coltivare mirtilli, uva spina e altre varietà che poi possono essere commercializzati, nelle aree scoscese per frenare il dissesto idrogeologico e prevenire con un costo minimo le frequenti frane e gli smottamenti. A Civitella, un paese che per secoli ha vissuto di agricoltura, settore oggi in profonda crisi, si individua come strategia la creazione di una filiera che parte dai giovani agricoltori da incentivare e consorziare mettendo in comune gli attrezzi agricoli, a cominciare dai trattori e mietitrebbie, e termina con con i gruppi di acquisto delle città vicine, o anche costituiti dagli stessi paesani.
In tutti i borghi è forte e maggioritaria la consapevolezza che lo spopolamento può essere fermato e il trend invertito solo se si sarà in grado di offrire nuove possibilità abitative, spalancando le porte dei borghi a giovani e ai forestieri, a persone che possano portare nuova energie, linfa vitale, fare figli, avviare attività.
E dunque bisogna recuperare le tante case abbandonate e ricostruire anche per questa finalità le case inagibili, mettendole sul mercato a prezzi calmierati, anche attraverso l’abbattimento dell’Imu, e bisogna superare il problema del frazionamento della proprietà immobiliare, frutto di pratiche di successioni ereditarie in famiglie ampie che, in molti casi, hanno portato alla paralisi dei beni immobili. Realizzando anche un censimento delle terre coltivabili favorire l’affitto o la cessione degli orti a persone interessate del paese o di altre provenienze.
Realizzando poi tutti quegli interventi che abbiamo menzionato, che rendono più allettante ed economicamente vantaggioso venire a vivere in un paese.
Scelta che del resto può essere favorita dall’acuirsi della crisi economica, come sta accadendo in Grecia e Spagna, dove in tanti scappano dalle città, perché in un paese, è solo una questione di volontà e maturazione civica, c’è una risorsa preziosa che può abbattere il costo della vita e aumentarne la qualità: ovvero la terra da coltivare, ma anche la possibilità di mettere in comune spazi e risorse ( un pollaio, un forno, una lavanderia, una cantina), di creare reti di mutuo aiuto per accudire i figli e gli anziani, per spostarsi, condividendo le automobili, di mettere su banche del tempo per poter allevare animali o coltivare l’orto, compatibilmente con i propri impegni di vita e di lavoro. E questi sono solo alcuni esempi di un modello chiamato ora cohousing ma che nei paesi, almeno i quelli dove a regnare era l’amicizia e l’armonia, era un pratica antica e consolidata.
Gli statuti non sono vincolanti, è ovvio.
Però alcuni cittadini che hanno partecipato a questo percorso hanno già garantito che porranno rimedio a interventi fatti nella loro abitazione che contraddicono le linee guida, da una ritinteggiatura alla sostituzione di un brutto infisso. Lo Statuto sarà poi consegnato agli ingegneri e architetti incaricati della ricostruzione dei vari aggregati di case terremotate, affinché adeguino i progetti a quanto deciso. E soprattutto le amministrazioni comunali di Fano Adriano e Fontecchio hanno già deciso che lo Statuto sarà inserito nei Piani di Ricostruzione e più in generale nel programma di governo.
Ha spiegato a tal proposito Sabrina, giovane sindachessa di Fontecchio: ”Il nostro piano di ricostruzione, grazie allo statuto dei luoghi, diventerà un’altra cosa. Una cosa molto diversa rispetto a dove i piani di ricostruzione sono stati fatti dalle Università, e il momento della partecipazione si è ridotto a comunicare cosa si era già deciso per il paese”.
Per quanto riguarda Pescomaggiore la faccenda è più complessa: il piano di ricostruzione è quello dell’Aquila, di cui Pescomaggiore è una frazione, e il Piano non prevede per ora e per la quasi totalità delle frazioni, alcun intervento pubblico volto a recuperare o ristrutturare la rete della viabilità, dei sottoservizi e degli edifici pubblici o ad uso collettivo.
In tal senso le istanze delle frazioni e della città-territorio potranno si spera essere poste al centro dell’ “Agenda per la pianificazione del territorio” che il Comune intende sviluppare ”per affronta l’insieme delle riflessioni per la pianificazione a partire dal territorio vasto, oltre confini comunali, per riportare la comunità di tutta l’area, non solo quella aquilana, al centro di una strategia di sistema”
Non resta che confidare allora nella lungimiranza e nell’intelligenza delle amministrazioni e della nuova governance della ricostruzione, ricordando che una comunità locale può ritrovare se stessa e la sua dignità anche in un pacifico ma determinato percorso di lotta e di giusta rivendicazione dei propri diritti.
Gelsomino Balla
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Oggi, 23/4/2015 ho parlato con Ernesto, Vs. presidente, avendo letto l’articolo di Tiziana Pasetti sul n.17 del 28/4/2015 di Confidenze e sono rimasta felicemente sorpresa delle iniziative che state portando avanti. Sono anch’io abruzzese doc, nata a Torricella Peligna, e posso dirvi che le emozioni che mi da la mia terra e l’aria che vi si respira sono doni che oggi non hanno prezzo.
Forse è azzardato pensare di trasferirsi ad “Eva” ma sono sicura che la qualità della vita lenta e pacata del paese siano risorse che possono placare l’animo umano disturbato dalla frenesia e dall’ inquinamento della grande città.
Mi piacerebbe venire con un’amica, a visitarvi durante il mese di maggio, a voi la scelta del periodo, per poi prendere decisioni per un eventuale trasferimen-to in loco.
Vorrei sapere come funziona la vs. ospitalità ed avere la tabella dei prezzi per il soggiorno presso Eva.
Attendendo una vs. risposta che mi auguro positiva, colgo l’occasione per complimentarmi con voi ed inviarvi i migliori saluti per un felice e proficuo proseguimento del percorso da voi intrapreso.
Mirella Franchina