Marzo 2011- Il sole che scalda Eva ed altro

Le case di paglia realizzate in auto-finanziamento e con lavoro volontario da persone arrivate da tutta Europa, a seguito del sisma del 6 aprile 2009 ( eche ospita persone con casa E di Pescomagigore e di altri paesi del cratere)  saranno presto dotate di pannelli solari e la loro istallazione è stata pensata come un momento di formazione condiviso del sapere e delle capacità di auto-costruzione e di divulgazione della cultura del risparmio energetico.

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L’associazione Misa a.p.s. ha promosso pertanto un primo workshop sull’installazione di impianti solari termici aperto anche alle ditte locali, tra cui la Green Eagle dell’Aquila, spin off che vede coinvolti giovani ( per ora) senza reddito del capoluogo.

Grazie a Misa a.p.s., l’associazione di Pescomaggiore che riunisce i beneficiari ed i volontari dell’ecovillaggio, è giunta dalla Toscana una  squadra di esperti idraulici e ragazzi aderenti a  Ingegneria senza frontiere di Pisa, venuti a  donare ed installare un impianto solare termico su una delle abitazioni in paglia

I pannelli utilizzati sono stati forniti dalla ditta WAGNER solar tramite RESEDA onlus ed il Centro interuniversitario di ricerca per lo sviluppo sostenibile. E’ stata una concreta e solidale occasione di formazione per i beneficiari dell’insediamento e per gli impiantisti locali interessati.

A Pesco intanto ci si organizza per la nuova stagione. La ristrutturazione  del forno del paese, la fitodepurazione, l’ultima casa in paglia, la semina: sono quest i fronti che ci vedranno impegnati. A Pesco sono intanto passati due artisti russi e ucraini e hanno fatto un affresco. Su una casa di paglia. Nelle foto la realizzazione di lavandini con l’.antica ed economicissima tecnica della pietra ricostruita ( cemento, sabbia e poco altro) Niente a che vedere con i capolavori di Walter ex Trento che ci ha insegnato la tecnica (http://www.mediterre.net/wet/) ma insomma non sono male.

Ah poi le macerie, è vero. Le foto sono di Castelnuovo, uno delle decine di borghi terremotati. Dopo ogni giro si torna con un senso di tristezza. Che mai potranno capire i commissari, i ricostruttori delegati, le archistar e i piazzisti di prefabbricati, gli esperti e i professoroni venuti da fuori a pensare e a decidere la ricostruzione al posto dei terremotati, gli inviati super specialissimi in cerca più di scandali giudiziari e di scoop succosi, che dell’anima ferita ma tenace di una terra.

Perché per capire questa tristezza devi aver vissuto una vita tra questi vicoli e queste pietre antiche. E avere perso la tua casa. I ricordi, i profumi delle stagioni e dei lavori della terra. Un amico, un parente, un compaesano sotto quelle pietre.
E’ la tristezza che nasce dalla consapevolezza, dal sospetto che il provvisorio diventerà definitivo.

Che non c’è nessun interesse e vantaggio economico a ricostruire com’erano e dov’erano tanti borghi del cratere minore, di quello che fu il contado che tanti secoli fa fondò L’Aquila. Ad apparire presenze ingombranti, quasi abusive, da cancellare al più presto, non sono i nuovi insediamenti di cartongesso all’avanguardia, ma i vecchi borghi e le loro scandalose ed imbarazzanti macerie.

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