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Pescomaggiore, l’Aquila. È appena passato mezzogiorno quando un signore di mezza età mi rivela: «È la legge del Menga: chi l’ha in culo se lo tenga», ed è chiaro che col suo vecchio modo di dire abruzzese si riferisce alla trappola legislativa che regola il risarcimento del dopo terremoto avvenuto nella sua città. Secondo il decreto legge n° 39 infatti, al cittadino che ha subìto danni alla prima casa e che deve ristrutturarla o, nel peggiore dei casi, ricostruirla è riconosciuta una cifra che lo stato copre per un terzo con denaro liquido, mentre un altro terzo va a carico del cittadino con un mutuo a tasso agevolato. L’ultimo terzo, ironia del destino – un destino dettato da chi cavalca le emergenze – deve ancora una volta accollarselo il cittadino, il quale anticipando la somma potrà poi recuperarla nei successivi ventidue anni non pagando le imposte. «Facile per chi di reddito annuo tiene duecentomila euro, non per chi ne guadagna appena ventimila», dice lui. È la legge del Menga: chi c’ha malasorte se la tenga, ché non c’è provvidenza a soccorrerlo. A Pescomaggiore, piccola comunità in provincia dell’Aquila, un gruppo di persone ha deciso però di scongiurare la malasorte con una progettazione partecipata per creare l’E.V.A. (Eco Villaggio Autocostruito), avviando il progetto circa quattro mesi dopo il terremoto dell’aprile 2009.

Cygnet, Tasmania. È pomeriggio quando Jo-Anne e Michael mi invitano a entrare, ed è già chiaro che dopo quella porta aperta c’è solo da stupirsi dell’ingegno umano. A mettere insieme queste soluzioni abitative c’è il lavoro studiato dei costruttori e l’attenzione particolare dei padroni di casa, che negli anni hanno imparato che a questo mondo le case si possono edificare in molte maniere, e che in questo paesino della Tasmania c’è un po’ di gente che ne sa al riguardo. A Cygnet, comunità a sud del capoluogo Hobart, uno degli argomenti di cui più si parla e su cui ci si confronta nella vita di ogni giorno è la maniera di autocostruirsi la casa. Cosicché Jo-Anne e Michael hanno deciso di lasciare la grande Sydney e di spostarsi a vivere proprio lì, pur continuando a lavorare alla registrazione dei suoni in ambito cinematografico, per costruirsi una straw bale house, una casa con balle di paglia, come le tante altre che si vedono in giro da quelle parti, dato che negli ultimi dieci anni i “benefici della paglia” come costruzione ecologica e sostenibile hanno creato un circolo virtuoso anche in Australia.

Il signore di Pescomaggiore mi parla mentre sposta e posiziona al centro della stanza un mobile della cucina. Puntando gli occhi in alto si vedono le travi in legno che sorreggono il tetto, ma a guardare le mura tondeggianti e ben intonacate non verrebbe mai da pensare che sono letteralmente riempite di comunissime balle di paglia da 35 × 50 × 100 cm circa, il che rende l’abitazione ben isolata dal freddo che viene da fuori. La sala dà su una vallata che termina con un’altra piccola montagna. Più che una vallata dà l’idea di una piccola conca, protetta e racchiusa in un’area di tre ettari, dove E.V.A., mi mostra Isabella, nasce con lo scopo di dare una risposta istantanea ai primi sfollati del dopo terremoto, e dove ancora cresce arrivando a realizzare sette strutture in legno, tuttora in fase di costruzione, con le fondamenta di cemento – così come la legislazione impone – ma un cuore fatto di paglia.

Jo-Anne e Michael mi portano in giro nella loro casa di Cygnet e mi mostrano un muro esterno a cui sembra appeso un quadro. In realtà si tratta di una finestra con vetro incastonata nella parete dalla quale si può vedere la paglia che compone il cuore di quel muro portante. La maniera con cui mettono in mostra quella loro idea è arte e insieme orgoglio.

La paglia mischiata all’argilla da sempre è stata usata per edificare, ma con l’avvento dei compattatori a vapore – grazie ai quali si è potuto pressarla in maniera più veloce rispetto al metodo manuale, con due cavalli trainanti – le balle non divengono più un semplice scarto agricolo, ma dei grossi mattoni con i quali edificare mura. Tra le varie tecniche in uso ne esiste una secondo cui le balle di paglia costituiscono le mura portanti su cui si appoggia il tetto, è questa la tecnica chiamata “Nebraska”, che è poi il luogo dove a partire dalla fine dell’Ottocento questa maniera di edificare ha trovato i suoi pionieri, concentrati a progettare una soluzione abitativa forte, calda ed economica.

Nell’aprile del 1995 il Department of Energy degli Stati Uniti (DOE) stila un documento in cui si enumerano alcuni tra gli studi che dimostrerebbero l’efficacia – economica, strutturale, ambientale – delle cosiddette straw bale houses. Dal rapporto del DOE si stima che con lo scarto agricolo annuo dei soli Stati Uniti si potrebbero edificare tra i quattro e i cinque milioni di case (ognuna di circa seicento metri quadri), e che questo oltre a rendere l’edilizia uno strumento di riciclo e di riuso dei residui dell’attività agricola, con il conseguente abbattimento dei costi di edificazione, sarebbe un insostituibile alternativa alla deforestazione per fini edili. Studi analoghi sono stati fatti anche in Europa, dove in buona parte degli stati le balle di paglia sono in eccesso, e le  straw bale houses sono abbastanza popolari da ricevere concessioni edilizie senza tanti problemi.

Il 6 aprile 2009 L’Aquila è sconvolta da un terremoto di magnitudo momento (Mw) 6.3. Una decina di giorni prima l’Earthquake Engineering Research Institute (EERI), presso l’università del Nevada, sponsorizza un test sismico su una straw bale house. La casa viene sottoposta alla simulazione di un terremoto di Mw 6.7 (pari al sisma che ha colpito il Cile nel marzo 2010) restando illesa. In un secondo momento viene raddoppiata l’intensità della scossa: le mura oscillano violentemente, dal video si vede che fuoriesce del materiale dalla base, ma le pareti non cedono nemmeno allora. Darcey Donovan, sostenitrice del test, membro dell’EERI e fondatrice dell’organizzazione no-profit PAKSBAB (Pakistan Straw Bale and Appropriate Building) realizza strutture in paglia con base rinforzata in Pakistan in seguito al sisma di Mw7.6 che ha generato nel paese centomila vittime e oltre tre milioni di senza tetto.

L’australiana CSIRO’s Building, Construction and Engineering Division in North Ride (Sydney) effettua in seguito un test su un campione di muro di paglia, simulando condizioni di incendio estreme. Dal contatto degli enormi bruciatori di gas con il muro non risultano né combustione né crepe. Quando i tecnici decidono di creare nella superficie dei buchi con dei trapani, rendendo la struttura più vulnerabile, nuovamente la simulazione di incendio dà ottimi risultati, più che efficaci in un paese come l’Australia dove le alte temperature provocano non poche calamità di questo genere. Ancora, si registra nello stato del South Australia un atto di vandalismo ai danni di una casa costruita con balle di paglia: risulta che le fiamme abbiano bruciato per un paio di ore l’edificio e si siano estinte senza creare danni sostanziali, dove invece si ritiene che un’abitazione costruita in cemento – e senza un sistema antincendio incorporato – sarebbe andata completamente distrutta.

Una soluzione abitativa è rivoluzionaria se dà più di una risposta concreta a problematiche come sostenibilità ambientale (a partire dalle componenti, e dall’impatto provocato dal loro smaltimento), resistenza al fuoco, affidabilità, risparmio energetico (la regolazione dell’umidità – quando le balle sono ben pressate – e l’alta capacità di isolamento termico della paglia riducono di moltissimo l’uso di energia previsto per il riscaldamento degli interni e quindi l’emissione di anidride carbonica nell’aria), antisismicità, forza strutturale, materiali edili a basso costo, sicurezza. In questo senso le persone che concepiscono e muovono il progetto E.V.A. sono rivoluzionarie perché mettono in circolo pratiche rivoluzionarie e, che nessuno lo dimentichi, perché si rimboccano le maniche. (maurizio gallo)

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